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Grotta Mora Cavorso Jenne (Rm)

    Le sepolture neolitiche di grotta Mora Cavorso a Jenne (Rm)

    Introduzione

    La grotta si colloca a 715 m. s.l.m. sul versante destro della vallata del fiume Aniene a pochi chilometri di distanza dal centro abitato di Jenne. Il complesso carsico è formato da una prima sala di dimensioni piuttosto ampie dalla quale si dirama un diverticolo angusto che immette nel reticolo interno lungo più di 30 m, caratterizzato da diverse strettoie impervie e stalattiti fortemente sviluppate. Le sale più profonde sono state aperte dagli speleologi del gruppo Shaka Zulu Club di Subiaco nel 2004, in questa occasione sono stati rinvenuti i primi resti umani nella cavità. Dal giugno 2006 sono iniziate le indagini archeologiche per il recupero dei resti archeologici e l’indagine stratigrafica dei vari ambienti della grotta.

     

    Sala inferiore

    In un piccolo anfratto di poco più di 2 m2 sono state rinvenute le ossa sparse di almeno 21 individui umani distribuite in forma di accatastamento di circa 30 cm di spessore inglobate in un sedimento alternato di croste stalagmitiche, veli calcarei e livelletti di clasti calcarei alterati non concrezionati.

    Oltre alle ossa umane il materiale archeologico recuperato si compone di ceramica in impasto, tra cui si segnala una tazza con prese forate sull’orlo, 10 elementi cilindrici di collana in conchiglia, varie lamelle di selce lavorate tra cui due strumenti (trapezi).

    Al di sotto dei reperti antropici è stato rinvenuto un livello di frequentazione umana con abbondante fauna (cervo) ricco di frustoli carboniosi, indagato al momento solo in una piccola porzione.

     

    Sala superiore

    La sala, di dimensioni maggiori rispetto alla precedente (15 m2), presentava i reperti completamente inglobati da una crosta stalagmitica di spessore centimetrico. Lo scavo ha rivelato una parziale connessione anatomica di buona parte dei reperti antropici, associati a materiale archeologico: al di sotto del femore destro sono stati rinvenuti, completamente obliterati dalla crosta stalagmitica tibia e perone destri. Al di sopra della porzione del femore destro sono stati rinvenuti, sempre inglobati nella crosta, radio e ulna destri a diretto contatto con un’ascia litica in serpentinite di accurata fattura, si segnalano inoltre frammenti di ossa di bacino e un frammento di femore sinistro a giusta distanza dai reperti appena menzionati. Ai piedi dell’individuo è stato rinvenuto la metà frammentaria di vaso decorato e due lamelle in selce. Nella sala, addossato ad una grande colata stalattitica, si è rinvenuto anche un calvario rovesciato, un frammenti di omero e un radio di bambino appartenenti ad un ulteriore individuo. Il piano di appoggio dei reperti è costituito da una crosta stalagmitica ben distinta dal depostito superiore, la cui superficie è di colore grigio scuro dovuto alla presenza di frustoli carboniosi e cenere, spiccano alcune chiazze di forte concentrazione di cenere e frammenti di carbone vegetale, probabili residui di focolari. La maggioranza dei reperti faunistici associati alle sepolture neolitiche è di pecore e capre, con resti riferibili a vari individui adulti, giovani, giovanissimi; rara la presenza di bue e del cane, si segnala anche la presenza del cervo.

     

    Le ricerche ancora in corso non permettono di trarre osservazioni definitive, le due sale interne interessate dai reperti antropici ed archeologici neolitici si differenziano nettamente, la sala inferiore risulta essere un accatastamento forse intenzionale delle ossa appartenenti ad inumazioni deposte nella sala superiore e da qui scivolate lungo la pendenza naturale che collega le due aree, si spiegherebbe così la caoticità dei reperti e la loro frammentarietà. La sala superiore sembra essere adibita a luogo di seppellimento primario, come dimostrato dal rinvenimento di un individuo parziale in connessione anatomica. A conferma di ciò è la presenza di materiale archeologico a diretto contatto con l’inumato: l’ascia in pietra con il braccio destro e il vaso decorato nei pressi del piede destro.

    Il materiale archeologico è attribuibile al Neolitico antico, come confermato anche dalla datazione radiometrica su un osso umano del livello superficiale della sala inferiore, che ha restituito un’età di 6405±35 B.P. (calibrata 5369 a.C.). Si tratterebbe quindi di un luogo di sepoltura di un piccolo gruppo umano dedito all’allevamento transumante e a forme semplici di agricoltura, che per un ampio lasso di tempo ha seppellito qui i propri cari.

    Le indagini estese in altre aree della cavità hanno inoltre evidenziato la presenza di una complessa stratigrafia che attesta una prima frequentazione umana a partire dai 14.000 anni fa (Paleolitico superiore – Epigravettiano finale) a cui segue una sporadica presenza intorno agli 10.000 anni fa, della quale però sono ancora da chiarirne le modalità. Il momento di maggiore utilizzo è quello relativo alle sepolture neolitiche, periodo nel quale la cavità è stata utilizzata come sepolcreto ma anche come luogo di riparo provvisorio da parte di vari gruppi umani che si muovevano tra la valle dell’Aniene e il Fucino. La serie si chiude con una ultima presenza umana datata al II millennio a.C. (media età del Bronzo), quando la prima sala è stata utilizzata un’ultima volta come luogo di pratiche votive legate ai culti propiziatori agropastorali.

    Mario F. Rolfo

    Dipartimento di Scienze - Storiche Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma “Tor Vergata”

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