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25 Aprile 2020

La Liberazione e i luoghi della memoria storica

Il 25 aprile del 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – CLNAI -, legittimato dal governo italiano a coordinare le bande armate della resistenza in supporto alle forze militari alleate, ordina l'insurrezione generale su tutti i territori occupati dai nazifascisti e contribuisce al progressivo termine delle ostilità, il 3 maggio dello stesso anno.


È un momento epocale, che segna anche la fine del ventennio fascista; il Paese è in tumulto e in giubilo, le masse scendono nelle piazze e acclamano l'ingresso vittorioso degli eserciti alleati.


Così, gli eventi che hanno avuto luogo nei due anni passati, con l'invasione della Penisola e l'inizio della Campagna d'Italia nel luglio del 1943, appaiono obliati da una nuova e più incoraggiante pagina di storia, all’alba di un mondo che di lì a poco sarebbe miracolosamente risorto dalle ceneri di una guerra lunga e logorante.


La Liberazione, che oggi compie 75 anni - nonostante l'emergenza Covid-19 in corso l'abbia privata della sua tradizionale connotazione di festa popolare -, passa anche per l’Alto Casertano e il Lazio Meridionale dove, tra il 1943 e il 1944, si gettano le basi per la rinascita dell’Italia prima, e con essa dell’intera Europa.


Il Corpo Italiano di Liberazione – CIL - ha il suo battesimo di fuoco a Montelungo, a pochi chilometri a sud di Cassino e rappresenta il nucleo fondante del riscatto di quella parte che vuole e deve dimostrare al mondo che l’Italia ha deciso realmente di uscire dal fascismo, e che è disposta a farlo con ogni mezzo a sua disposizione.

Quando nel 1946 a Parigi, Alcide De Gasperi parla alla conferenza di pace, dinanzi a un consesso mondiale che avverte profondamente ostile, per via della qualifica di ex nemico, come egli stesso si definisce, in rapporto al ruolo determinante che il fascismo ha avuto durante la Seconda guerra mondiale al fianco dei tedeschi, si appella ed evoca anche quell’esercito di giovani volontari che, al più semplice e desiderabile ritorno alle proprie abitazioni e famiglie, preferiscono un fato incerto e doloroso.


Ed è una storia comune, quella della ricerca di una patria, come per i soldati del II Corpo d'Armata polacco che entrano a Bologna il 21 aprile del 1945. Quei ragazzi sono gli stessi che, guidati dal Generale Wladislaw Anders, si battono valorosamente sulle colline di Cassino e che il 18 maggio del 1944 issano con orgoglio il proprio vessillo sulle rovine della millenaria Abbazia di Montecassino, bombardata e quasi totalmente distrutta solo qualche mese prima.

Quegli uomini, del tuttoignari di ciò, dal termine della guerra dovranno attendere per decenni la caduta della cortina di ferro prima di poter fare ritorno a una Polonia che  possa considerarsi libera e democratica.


La guerra contro il nazifascismo si scrive su di una strada lastricata di decine di migliaia di caduti militari di oltre 30 etnie, le cui spoglie riposano nei cimiteri del Cassinate, ma con essi anche migliaia di civili, loro malgrado, testimoni e protagonisti di morte, distruzione, malattia e fame.


In Italia centrale si combatte soprattutto sui rilievi montuosi, complessi naturali sfruttati dal genio militare nazista, e i Monti Aurunci si rivelano la vera chiave di volta della ‘Via per Roma’.


Il Corpo di Spedizione Francese infatti, il 13 maggio del 1944, apre una breccia che porta al collasso dell'intero sistema difensivo germanico: la linea ‘Gustav’, una fortezza che per mesi ha arrestato l'avanzata alleata verso nord, nel punto più stretto della penisola italiana, e che ha avuto come baricentro la città di Cassino e il suo Sacro Monte.


Se la distruzione della culla del monachesimo occidentale rappresenta il simbolo di un popolo la cui spiritualità viene offesa, ma non annullata, dalla forza cieca e deflagrante della guerra, ciò che accade solo qualche giorno più tardi è forse l’emblema più alto del sacrificio pagato dalla popolazione civile.


E così i pastori analfabeti delle montagne dell’Atlante, i goumier marocchini, espugnano le munite postazioni tedesche degli Aurunci orientali, conquistano il Monte Maio, risalgono Spigno Saturnia e si riversano come un mare di cavallette fameliche nelle silenziose vallate, fino ad allora sconosciute ai più, di Esperia e Campodimele. Lì, sotto gli sguardi atterriti di uomini, donne e bambini, senza distinzione di età, esercitano nell’indifferenza degli ufficiali francesi, ciò che ritengono virtù ancestrali e diritti acquisiti sul campo: la razzia e lo stupro.


Alberto Moravia, che sulla strada ferrata per Napoli è costretto a cercare rifugio tra le montagne di Fondi e Itri, è anch’egli testimone di quei fatti, che ben descrive ne “la ciociara”, un capolavoro-denuncia della letteratura italiana a cui segue una importante trasposizione cinematografica del celebre Vittorio De Sica.
Anche questo è il prezzo della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, che passa per tante piccole storie di uomini e donne che affrontano una guerra civile spigolosa e controversa, ma giusta, e costituiscono una sola grande Storia intimamente connessa a ogni cittadino italiano e del mondo, di quel tempo, del presente e del futuro.


I luoghi della memoria, di ciò che fu lAlta Terra di lavoro, e che oggi ricadono sotto la tutela del Parco Regionale dei Monti Aurunci, rappresentano un patrimonio di altissima valenza simbolica universale a cui, in un giorno come il 25 aprile, dobbiamo rivendicare con forza l’appartenenza, territoriale e culturale, affinché attraverso la loro valorizzazione quel sacrificio non si dissolva silenziosamente.

Testo e foto: Damiano Parravano, Associazione Linea Gustav

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