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Uomo e territorioArcheologia e arte

LLART

Lamone Land Art

    La LAND ART usa la terra, il paesaggio, lo spazio e gli elementi naturali come materiali specifici dell'opera, attraverso interventi su grande scala. Un’arte che sperimenta una nuova percezione della scala di rapporti tra UOMO, SPAZIO, NATURA. 

    Nasce negli Stati Uniti d'America fine anni sessanta, in un periodo di contestazione mondiale, da artisti, earth workers, desiderosi di valutare il potere dell'arte negli spazi incontaminati come i deserti, i laghi salati, le praterie con la realizzazione di opere monumentali e artisticamente rivoluzionarie, come “Spiral Jetty” di Smithson: una spirale di terra riportata della vicina collina nel Great Salt Lake o “Double negative” di Heizer: due lunghi solchi profondi 15 metri scavati con le ruspe come a formare due canyon artificiali in asse tra loro nel deserto del Nevada.

    Non specifica alcun concetto ambientalista, se non in modo indiretto mettendo l’accento su luoghi bellissimi e selvaggi. 

    Dopo quest’esordio grandioso, arcaico e di forza bruta, il concetto della land art cambia e si sviluppa in varie forme, s’avvicina sempre di più a scenari urbani (gli impacchettamenti di Cristo), alla denuncia politica (il Gretto di Ghibellina di Burri). Spesso pretende di sensibilizzare il pubblico alla salvaguardia dell’ambiente con un’arte che restituisce alla terra tutto ciò che ha preso in prestito. 

    Il progetto della land art nella Selva del Lamone LLART vuole portare l’attenzione alla Selva stessa, alla sua origine vulcanica, alle forze primordiali che l’hanno creato, alla sua flora e fauna ma anche alla frequentazione dell’uomo con i suoi interventi in questo luogo apparentemente inospitale e a lungo considerato impenetrabile causa le “murce” (cumuli di pietre laviche). 

    L’opera, intitolata FRONTAC, attinge a vari elementi fondamentali del territorio mettendo
    in relazione la storia geologica del luogo caratterizzato principalmente dalla
    sua natura vulcanica, e l’identità storica che lega questo luogo all’antica presenza del
    misterioso popolo etrusco.
    Allo stesso tempo, questi due concetti fondamentali si intrecciano con la poetica di
    Magni incentrata da tempo sul tema del conflitto umano e sul rapporto Uomo-Natura,
    unitamente al tema della memoria, per una riflessione che intende accendere i riflettori
    anche sull’attualità dei nostri tempi.
    Tante - quindi - sono le casuali e felici connessioni tra Luogo-Storia-Natura-Artista,
    utili a generare il tema di questa installazione che concilia tutti questi elementi mettendoli
    in stretta relazione.
    Il percorso artistico di Magni è infatti strettamente legato al tema del “Vulcano”, già
    espresso in un ciclo pittorico e simbolo di unione tra l’elemento della “Montagna”
    (tema basilare di un altro ciclo iniziale fondamentale, simbolo di connessione tra terra
    e cielo, tra elementi terreni e soprannaturali) e l’elemento del Fuoco (ennesimo tema
    molto caro a Magni e strettamente legato ai precedenti).
    Il Fuoco, elemento primordiale e simbolo di trasformazione per antonomasia, di ciclicità
    delle cose, di Vita e di Morte è qui cristallizzato negli affascinanti scenari delle
    “murce” della Selva, nelle sue rocce di magma solidificato.

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