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L'economia legata al castagno

    Il castagno è, fra le essenze forestali, la pianta che meglio si presta al governo a ceduo, giacché la zona del colletto è ricchissima di gemme cosiddette “dormienti” che, una volta tagliato il fusto, si sviluppano in polloni, che sostituiscono le piante sottoposte a taglio.
    Questa facoltà si conserva nel castagno per un periodo quasi indefinito, per cui i polloni potranno emettere radici proprie emancipandosi dalla ceppaia madre.
    Il castagno è un albero di grandi dimensioni, assai longevo, di rapido accrescimento fino a 80-100 anni, poi più lento fino a raggiungere l‛età di 400-500 anni e in qualche caso anche di 1000. L‛altezza massima è di 30-35m, la chioma è espansa e costituita da grossi rami.
    Il castagno predilige i terreni di tipo siliceo, sciolti, e le maggiori produzioni si hanno nei tufi vulcanici ricchi di potassio nonché sulle formazioni cristalline o scistoso-cristalline purché disgregate nella struttura fisica ed alterate chimicamente, tanto cioè quanto occorre ad essere facilmente permeabili alle acque ed alle radici.
    Una buona parte dei castagneti da frutto sono stati convertiti in ceduo, che sembrerebbe più redditizio dello stesso castagno da frutto. Col ceduo castanile (specialmente il composto) infatti si ottengono i pali da vite, i pali telefonici e telegrafici, le doghe da botte, il materiale da intreccio per cesti e panieri. Dai grossi polloni infine si possono anche ottenere le castagne da impiegare completamente nell‛alimentazione del bestiame, in particolare dei suini. Dal lato idrogeologico, il ceduo, posto in stazioni molto degradate e degradabili acclivi, fertilizza e protegge meglio il terreno che non l‛alto fusto.
    Tra i prodotti secondari del castagneto vale la pena ricordare i funghi. Questo tipo di bosco infatti è meta tradizionale dei cercatori di funghi, grazie anche alla ricchezza di specie (Porcini - Ovoli - Colombine - Galletti), che trovano condizioni ideali per vivere in simbiosi con le radici delle piante.

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