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Rava cattedrale di Camposoriano

Gabi e il dinosauro di Camposoriano

La scoperta di un'impronta di dinosauro, di milioni di anni fa, su un blocco di calcare in una cava di Camposoriano ha incuriosito una bambina per le tre dita impresse nella roccia...

Gabi ha 11 anni e la testa piena di animali, piante e rocce.

A Camposoriano Gabi c’era già stata, da allora le rocce di quel posto o meglio sarebbe dire quel posto fatto di rocce, erano entrate nella sua testa.

Alla notizia di un grande masso con le impronte di un dinosauro ritrovato ed esposto lì, Gabi non poté resistere e chiese di essere accompagnata in visita a Camposoriano.

Stava sul suo albero e stava pensando a cosa avrebbe visto, il padre alzò lo sguardo e le disse: andiamo?

Con rocce e fossili Gabi si era già misurata, era un po’ diverso rispetto agli animali e alle piante che poteva osservare e toccare nella realtà. Non che quelli non fossero reali ma la obbligavano ad usare ancora di più la sua fantasia ed immaginazione per sentirsi parte di quelle storie, di quei cambiamenti, di quelle vicende che le rocce sanno raccontare. E Gabi è fatta così, ha il potere di far entrare le cose e di entrare nelle cose della Natura, è il suo modo di comunicare ed interagire, il suo essere speciale.

Gabi mette l’indice, il medio e l’anulare nei solchi impressi sulla roccia e compone un TRE con le dita belle larghe.

Aveva già letto, si era già informata su chi aveva lasciato quell’impronta, cosa faceva, quando era vissuto e come si stava muovendo in quel preciso momento.

Ma quel TRE la spingeva. Lo sentiva da dietro la schiena che la spingeva, con il dito medio più lungo che premeva più degli altri. Camminava tra le rocce ed i vigneti di Camposoriano e si ritrovava le mani con pollice e mignolo uniti e le tre dita intermedie allungate e distanziate in un crampo.

Quel TRE, era ovvio, esigeva un chiarimento, una spiegazione… una ricerca.

Nei giorni che seguirono Gabi non fece che passare dall’albero al computer, le sue mani continuavano a segnare TRE.

5-2=3 Cinque meno due uguale TRE! Ecco, se cerchi veramente un aiuto può venire inaspettato anche da cose che non ti piacciono o che normalmente non ritieni importanti, e a Gabi la matematica non piaceva un bel niente!

Tre dita forti di cui il medio in asse con la gamba per scaricare tutto il peso al suolo, magari unghie che fanno presa nel terreno sono l’ideale per un corridore, ma non è un TRE secco è un 5-2, sì, perché le altre dita Gabi aveva scoperto che c’erano, piccole ed inutili. Perché? Si domandava Gabi.

Bisognava andare all’origine dei dinosauri.

Gabi aveva trovato che tutti i dinosauri discendono da un antenato che aveva dato origine anche ad un altro gruppo, quello a cui oggi appartengono i coccodrilli. Questo antenato camminava con le quattro zampe divaricate e piegate senza poterle stendere, come ancora fanno i coccodrilli e appoggiava tutto il piede a terra e aveva… 5 dita!

Quella ricerca aveva fatto scoprire a Gabi due cose importanti, una riguardava i dinosauri, l’altra era una regola generale che a Gabi piaceva molto.

Uno dei passaggi cruciali nel determinare il successo dei dinosauri era stato proprio quel TRE.

Quel primo antenato si muoveva goffo e rasoterra. Sollevarsi sulle gambe, acquisire un’andatura eretta e bipede, correre in punta di piedi e… ridurre il numero di dita, aveva aperto nuove possibilità e la conquista di ambienti nuovi. E questa era una delle tante rivoluzioni anatomiche che Gabi stava scoprendo e che hanno guidato il successo di questo gruppo di animali che hanno dominato la Terra per moltissimo tempo.

L’altra cosa, come detto, le piaceva tanto perché poteva essere applicata a tutti gli esseri viventi, ed inoltre sentiva che era la vera ragione di quel TRE che le aveva appiccicato due dita e la spingeva da dietro la schiena.

Nel corso della lunga storia della vita, Gabi sapeva che, l’evoluzione aveva plasmato tante forme diverse, ma nel far comparire nuove capacità, nuove strutture, nuovi corpi, l’evoluzione procedeva come quell’inventore che può solo riutilizzare, riciclare, ammassare e smembrare quello che ha già. Il risultato di questo riciclare è sorprendente, ed è quella cosa che chiamano biodiversità, ma include anche la possibilità, a guardare bene le somiglianze più che le differenze, di riconoscere il materiale di partenza.

Ora si spiegava quel 5-2=3.

Gabi è ora sull’albero e sta parlando di queste cose con lo Struthiomimus di Camposoriano che è un dinosauro che assomigliava un po’ ad uno struzzo, come dice il nome, è proprio lui che le stava confermando che i due rami a cui quell’antenato aveva dato origine sono entrambi rappresentati oggi: uno di questi è il ramo dei coccodrilli e l’altro, quello dei dinosauri che si crede completamente estinto, è invece oggi rappresentato da... Gabi apre gli occhi davanti a lei, su un ramo c’è un pettirosso, Gabi istintivamente percorre con lo sguardo tutto il suo esile corpo dalla testa, si sofferma sui piedi e… sorride, le sue mani automaticamente fanno…TRE! 

 

 

Testo di  Paolo Mastrobattista
Disegno di  Irene Mastrobattista
Coordinamento  di Gaetano Orticelli
Foto archivo Parco Monti Ausoni e Lago di Fondi

 

Note informative utili:

1. Dove e quando?
Questo blocco di calcare, proveniente da una cava di Camposoriano, venne utilizzato, insieme a molti altri massi che vi furono trasportati, per la pavimentazione del molo di Rio Martino, a Latina. E proprio là fu scoperto nel 2016, e fatto notare al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università La Sapienza di Roma.

2. Le ricerche scientifiche: chi l’ha studiate?
Dopo i primi sopralluoghi esplorativi, il reperto è stato studiato dal professore Umberto Nicosia, e poi affidato a Paolo Citton e Marco Romano per indagini specifiche adatte, che hanno permesso di raccogliere diversi dati strumentali e di compararli con molte letterature scientifiche di riferimento, in collaborazione con Jacopo Nicolosi e Roberto Carluccio dell’Istituto Nazionale di Geologia.

3. Datazione
Le valutazioni e i risultati dell’attività di ricerca dei due studiosi, pubblicati con due contributi editoriali su riviste scientifiche internazionali (leggi qua), mettono in evidenza innanzitutto che questa roccia ha un’età di 113 milioni di anni, epoca cretacica derivante da una piattaforma carbonatica del periodo aptiano/albiano inferiore. Il calcare ha preservato nel tempo le impronte lasciate da un dinosauro di media taglia che procedeva in posizione accucciata in un acquitrino paludoso di acqua dolce, con un atteggiamento cautelativo sopra substrati molli, come potevano essere, allora, i fanghi non ancora litificati (diventati roccia) della piattaforma carbonatica. 

4. Cosa stava facendo quando ha lasciato l’impronta?
L'osservazione accurata e l’analisi scientifica dell’impronta conservata dalla pietra scavata come una matrice, o uno stampo lasciato dalla pressione di una delle zampe dell’animale, ha permesso ai due studiosi di stabilire che, in quel preciso momento, esso si muoveva con un’andatura “gattonante”, lentamente con il corpo vicino al suolo incerto, sul quale poggiava nello stesso modo anche con gli arti anteriori e i lunghi metatarsi, con i quali poteva raggiungere una superficie di contatto maggiore con il terreno, scongiurando un probabile sprofondamento, come se fosse durante un agguato, vicino a una fonte d’acqua o di cibo.

5. Chi era?
Con l’utilizzo di metodi morfometrici e comparando i dati ricavati dal reperto con il materiale scheletrico di riferimento ad oggi conosciuto, la ricerca ha permesso di stabilire che il possibile autore delle tracce risulta molto compatibile con dinosauri tripodi del gruppo degli Ornithomimosauria, con un’affinità maggiore al genere Struthiomimus. Doveva essere lungo circa tre metri, con un’altezza verso l'anca di poco superiore al metro. Era agile veloce, non possedeva ali né piumaggio, e non era in grado di volare. Correva sulle lunghe zampe posteriori, facendo presa sul suolo con gli artigli ricurvi delle dita. Si serviva della coda, snella ma rigida, per stare in equilibrio. Gli arti anteriori erano più brevi e sottili con due prese a tre dita lunghe, che utilizzava per raggiungere o afferrare il cibo.

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