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25 Febbraio 2021

Animali sul Cammino: il Falco pellegrino

Classe:  Aves

Ordine: Falconiformes

Famiglia: Falconidae

 

Il falco pellegrino (Falco peregrinus, Tunstall, 1771) è un uccello rapace della famiglia dei Falconidi diffuso quasi in tutto il mondo: (Europa, Asia, Africa, Nordamerica, Sudamerica e Oceania). Nel nome scientifico la parola "peregrinus" (utilizzata per indicare la specie) fa riferimento alla colorazione scura delle penne del capo, che ricordano un cappuccio nero simile a quello che erano soliti indossare i pellegrini. Il falco peregrinus peregrinus, la sottospecie di riferimento, descritta da Tunstall nel 1771, si riproduce nella parte temperata dell'Eurasia tra la tundra a nord e i Pirenei, il Mar Mediterraneo e la cintura alpina. In Europa è essenzialmente stanziale, mentre è migratore in Scandinavia e Asia. I maschi raggiungono un peso di 580-750 g, mentre le femmine pesano 925-1030 g. La sottospecie comprende brevirostris, germanicus, rhenanus, e riphaeus. È considerato un superpredatore.

Il falco pellegrino è noto per l'elevata velocità. Si ritiene possa raggiungere in picchiata una velocità massima di 385 km/h; ciò lo rende il più veloce animale vivente. Ha una lunghezza compresa tra 35 e 58 cm, e un'apertura alare di 80–120 cm. Maschi e femmine hanno piumaggio simile ma, come molti altri rapaci, sono caratterizzati da un marcato dimorfismo sessuale per cui le femmine sono circa il 30% più grandi dei maschi.

Il dorso e le ali appuntite degli adulti sono solitamente di un colore che va dal nero bluastro al grigio ardesia, con alcune striature caratteristiche delle sottospecie. La punta delle ali è nera, mentre la parte inferiore è striata con sottili bande marrone scuro o nere. La coda, dello stesso colore del dorso ma con striature nette, è lunga, sottile e arrotondata alla fine con una punta nera e una banda bianca a ciascuna estremità. La testa nera contrasta con i fianchi chiari del collo e la gola bianca. La "cera" del becco e le zampe sono gialle, mentre il becco e gli artigli sono neri. La punta del becco ha un intaglio, risultato di un adattamento biologico, che permette al falco di uccidere le prede spezzando loro le vertebre cervicali del collo. I giovani immaturi sono caratterizzati da un colore più bruno con parti inferiori striate invece che barrate; la "cera" e l'anello orbitale sono blu pallido.

Il falco pellegrino è facilmente distinguibile dalla poiana comune (Buteo buteo) per il suo corpo compatto e la sua silhouette più agile, le ali sono strette e a punta e non larghe e frangiate all'estremità, come quelle della Poiana. Notevoli sono anche i suoi colpi d'ala veloci e vigorosi, mentre i battiti della poiana tendono ad essere più lenti. Più difficile è distinguerlo dal gheppio, più piccolo e meno massiccio e con la coda più lunga, ma per il resto simile. Il pellegrino, però, a differenza del gheppio, non fa mai lo "spirito santo", un atteggiamento di caccia utile per la cattura di insetti e roditori, che consiste nel librarsi fermo nell'aria, grazie a piccoli movimenti delle ali.

È un abilissimo cacciatore in grado di attaccare anche le prede a mezz' aria. Contrariamente a quanto si crede, esso non è in grado di volare in orizzontale a velocità importanti.

Alimentazione

La strategia di caccia del falco pellegrino consiste nel portarsi in posizione dominante nei confronti della preda. Questo può essere ottenuto in uno dei seguenti modi: trovare un posatoio in posizione elevata, per esempio su un monte; guadagnare quota, quasi sempre sfruttando una corrente termica, e poi pattugliare dall'alto i terreni favorevoli; oppure, più raramente, aggredire una preda dal basso, spingerla a fuggire verso quote altissime e poi portarsi sopra di lei, infine inseguirla in picchiata.

La cattura vera e propria della preda avviene con la cosiddetta "stoccata", un colpo sferrato con entrambi gli artigli, che serve a tramortire, sbilanciare o ferire la preda, che cade a terra, dove viene uccisa con il potente becco. Più raramente il falco ghermisce la preda. Il falco pellegrino non caccia mai a terra.

In Italia caccia prevalentemente in spazi aperti ed è perciò osservabile in quasi tutti i biotopi, tuttavia, predilige gli spazi aperti ed i bacini lacustri con abbondanza di uccelli.

Socialità e rapporti con l'uomo

I partner di una coppia di falchi pellegrini rimangono insieme per tutta la vita e si accoppiano nuovamente in caso di morte di uno dei partner. La durata della cova dura dai 32 ai 37 giorni, in funzione della latitudine e dalla percentuale di umidità della zona prescelta per la cova. La covata prevede solitamente 3/4 uova.

Raggiunge in media un'età di 17 anni allo stato brado, ma sono stati osservati in cattività casi in cui dei soggetti superavano l'età di 20 anni.

Da molti secoli, in Europa, collezionisti di uova, guardiacaccia e allevatori di piccioni viaggiatori hanno prelevato un costante, e talora pesante, tributo di uova, giovani e adulti di falco pellegrino, ma la popolazione complessiva ha resistito, nonostante una forte mortalità giovanile[36]. Intorno al 1955 molte popolazioni hanno conosciuto un'importante decrescita: si osservavano con frequenza esemplari morti ma, soprattutto, si trovavano le uova, rotte nei nidi abbandonati. Ebbe inizio un autentico tracollo che portò alcune popolazioni al completo collasso. In Europa centrale e settentrionale si ebbe una quasi totale scomparsa e in Inghilterra si passò dalle circa 700 coppie del 1955 (S. Cramp, 1980) alle 68 del 1962 (D. Ratcliffe 1980). Resistettero invece quasi tutte le popolazioni del Mediterraneo (S. Cramp 1980).

Molti ricercatori cominciarono a intuire che la causa potesse essere l'inquinamento da insetticidi clorurati (DDT e, in particolare, DDE). Ma fu Ratcliffe (studiando uova di collezioni museali) a dimostrare che, fra il 1945 e il 1947, contemporaneamente all'introduzione massiccia di questi prodotti in agricoltura, i gusci delle uova di falco pellegrino, improvvisamente, avevano cominciato a perdere spessore. I biologi, in particolare D. S. Miller poterono successivamente dimostrare che gli insetticidi in questione provocano un'alterazione enzimatica dell'anidrasi carbonica e del calcio ATPasi, che trasportano il calcio dalla circolazione sanguigna della femmina al guscio in formazione dell'uovo. Le stesse alterazioni, e la stessa catastrofe, si riscontravano in altri falconiformi, in particolare in quelli che si nutrono principalmente di uccelli, per esempio nello sparviero. Le modalità di avvelenamento erano da individuare nella catena alimentare: insetto-uccello insettivoro-falco. La discrepanza fra gli anni dei primi massicci avvelenamenti e quelli degli effettivi collassi delle popolazioni è spiegata con la sopravvivenza degli adulti, più resistenti all'avvelenamento, la cui mancata riproduzione portò a effetti visibili solo alcuni anni più tardi.

In seguito al bando del DDT, alla rigorosa protezione dei siti di nidificazione dal prelievo di uova e nidiacei per la rinascita della falconeria e agli importanti interventi di reintroduzione, le popolazioni, a partire dagli anni settanta, ebbero una progressiva e quasi totale ripresa.

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