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Scilla bifolia o Giacinto turchino

Nel Parco dei Castelli Romani la possiamo ammirare, già all'inizio della primavera, in luoghi ombrosi

    La Scilla bifolia, conosciuta anche come Scilla di bosco o Giacinto turchino, è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Liliaceae è diffusa sia in Europa che in Asia ed è presente in tutta Italia. Nel Parco dei Castelli Romani la possiamo ammirare, già all’inizio della primavera, in luoghi ombrosi, in genere è presente nei boschi di latifoglie e nelle praterie ad un’altitudine dai 100 ai 2000 metri.

    Il nome del genere deriva dal latino ‘Scilla’, attribuito da Linneo, che deriva a sua volta dal greco ‘Skilla’ (sorta di cipolla), nome con cui venivano chiamate tutte le piante bulbifere; bifolia per quanto riguarda questa specie, fa riferimento alle uniche due foglie presenti sul fusto.
    La pianta è dotata di un bulbo profondo dal quale sorge il fusto di dimensioni che raggiungono i 15 - 20 centimetri, le due foglie lanceolate, partono dalla base del fusto fino ad arrivare alla metà. I fiori da 6 a 10, posti all’apice dello stelo, sono raccolti in un’unica infiorescenza, i cui petali, solitamente 5, sono di un colore azzurro-violetto. Il frutto è una capsula contenente piccoli semi scuri che non appena arrivano a maturazione si aprono e riversano a terra. Questi semini contengono una sostanza oleosa gradita alle formiche, che provvedono alla loro distribuzione.  

    Il bulbo contiene principi attivi diuretici e cardiotonici ed esistono testimonianze del suo utilizzo nella medicina popolare, nonostante la sua tossicità, in quanto se imprudentemente ingerito può provocare seri disturbi gastroenterici. In antichità la pianta era considerata un valido rimedio contro il morso dei serpenti e il malocchio e si appendeva alla porta delle abitazioni per proteggere la casa da ogni male.

    Il suo nome è associato alla leggenda di Scilla, il mostro marino della mitologia greca con corpo di donna, coda di pesce e 6 teste di cane, che narra come Ninfa innamorata di Glauco chiese alla maga Circe di prepararle un filtro amoroso, ma Circe che nutriva gli stessi sentimenti verso Glauco, preparò una subdola pozione e la versò in una fonte consigliandole di bagnarsi in quelle acque. Scilla si trasformò così, in un terribile mostro, e spinta dalla rabbia e dalla vergogna, si nascose nello stretto di Messina di fronte a Cariddi, da dove usciva per divorare i naviganti.

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