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26 Novembre 2019

Riserva bagnata, Riserva fortunata

Senza le bonifiche il paesaggio costiero laziale sarebbe completamente diverso da quello odierno. Fin dall’epoca antica l’uomo ha cercato di strappare le terre all’acqua. Gli Etruschi furono i primi a bonificare le aree acquitrinose laziali e campane. A Roma costruirono la Cloaca Maxima, il grande canale fognario che sfociava nel Tevere. Essi praticavano il drenaggio del suolo e l’irrigazione, grazie a una avanzata scienza idraulica. I Romani furono abili nella regimazione e distribuzione delle acque costruendo acquedotti, canali navigabili ed irrigui. Nel Medioevo furono i Monasteri (in particolare quelli Benedettini) a fungere da punto di riferimento. Nel ‘500 sorsero i primi Consorzi, associazioni di proprietari che si occupavano di eseguire e mantenere le opere di bonifica.

Nel Settecento si posero le basi de “l’ideologia del bonificamento”. Nell’Ottocento, grazie alla Rivoluzione Industriale, si arrivò alla meccanizzazione della bonifica con la costruzione di grandi macchine idrauliche e pompe idrovore.

Tra il 1882 (anno della Legge Baccarini, “Bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi” che aveva anche l’obiettivo di sconfiggere la malaria) e il 1924 furono bonificati oltre trecentomila ettari di terre in Italia.

Testo e foto di Emanuele De Zuliani - Archivio Riserva Regionale di Macchiatonda

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