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Bosco del Sasseto

    Natura, sensi, anima e una storia. Oltre agli importanti aspetti naturalistici il bosco del Sasseto appare intriso di un senso di trascendenza, o forse un preciso genius loci, che si avverte all’ombra delle maestose chiome, camminando fra i massi ricoperti di muschio. Qui si conserva la storia vera di colui che, a fine ‘800, amò a tal punto questo luogo selvaggio da renderlo, rispettosamente, accessibile e da eleggerlo ad ultima e definitiva dimora.

    Edoardo Cahen, iniziatore del ramo italiano di una famiglia di banchieri belgi di origine ebraica, approdò nel 1880 a Torre Alfina dove, insieme ad una vasta tenuta, acquistò il castello, parte del borgo e la sottostante, impenetrabile, selva. Narrano le cronache del tempo che il Cahen avesse ereditato il titolo di conte dal padre Joseph, il quale a sua volta lo ottenne dal re Vittorio Emanuele II per aver finanziato, unico tra i banchieri europei, il risorgimento italiano.

    Fu però con il denaro guadagnato per la lottizzazione del quartiere Prati, nella Roma post unitaria, che Edoardo ristrutturò radicalmente il castello e decise di creare un dedalo di percorsi nel meraviglioso bosco monumentale che ne era ai piedi.

    Il lavoro fu svolto con discrezione in modo che sentieri e muretti a secco potessero presto armonizzarsi con l’ambiente naturale. Unico segno della mano dell’uomo fu il piccolo mausoleo in stile neogotico che il conte, divenuto nel frattempo “marchese di Torre Alfina”, volle realizzare per sé in una radura della foresta.

    Chi cammina oggi nel paesaggio aspro del Sasseto non si rende conto di mettere i piedi su massicciate, ormai mimetizzate, a cui deve la meraviglia della continua scoperta che il bosco genera. E forse neanche sa che quella curiosa tomba, semiavvolta dalle piante, dal 1894 ha come unico ed eterno ospite il marchese Edoardo.

    Foto di Luigi Miatti

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