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Il lago e i borghi storici: Cori

    Cori in età antica: la città scopre se stessa

    I Monti Lepini sono monti larghi, sopratutto, e saldi come scogli. Contro di loro si infrange una marea verde di colline sulla cui cima, come schiuma ribollente, Cori riposa, e dorme un sonno millenario avvolta da un sogno di rocce calcaree, di vitigni odorosi e ruderi medievali. Laggiù, tra i passi della gente, al di sotto dei mattoncini che lastricano la viuzze ripide del paese, s’annida una storia fatta di eroi, di severi lavoratori, di politici, di santi e di poeti.

    C’era una volta di quattromila anni fa un gruppo di eroi leggendari che, approdati sulle rive pontine dopo una lunga traversata per mare, costruirono capanne di legno e paglia su queste fertili terre, oggi case solide di ferro e mattoni. Tra costoro, Servio ci racconta di Corace, un guerriero di stirpe argiva, nipote di Anfiarao, il quale avrebbe riportato in vita un’antica città fondata da uomini ancor più antichi, i cui nomi e le cui motivazioni si perdono nei fumi del tempo: Dardano, Latino Silvio, che fu quarto re di Alba Longa, e molti altri. C’è chi pensa che le tribù autoctone delle colline abbiano chiamato la città col nome di un animale sacro, dal valore totemico: il corvo, corax in latino. Ciò nonostante i più rigorosi di noi, che preferiscono appoggiarsi al solido suolo della realtà, spiegano che parole affidabili sull’argomento non furono mai scritte; pertanto l’etimo del paese è destinato a rimanere un enigma da risolvere.

    In età antica, il destino della neonata Cora s’intreccia con le vicende della Roma dei sette re. Prima fu di lei nemica, e la combatté schierata al fianco della Lega Latina presso il Lago Regillo (499 o 496 a.C.); poi fu fedele alleata quando i Volsci tremendi calarono sulla regione e gli elefanti di Annibale devastarono Canne nel 216 a.C. Mentre i guerrieri affollavano i campi di battaglia, i cittadini plasmavano il colle per trasformarne le asperità in comode aree abitabili. Ecco allora il sorgere di terrazzamenti lungo tutto il versante meridionale, ecco la nascita di due zone d’influenza principali: la valle e il monte, il foro e l’acropoli; ed ecco, infine, spesse mura cingere l’agglomerato cittadino e aprirsi solo in tre punti precisi: le porte Romana, Signina e Ninfina, l’unica ad aver conservato tracce dell’aspetto originario. Nel II a.C., molti mercanti solcarono i mari del Mediterraneo tracciando rotte per i loro commerci. Le casse cittadine si saziarono di denaro usato poi per costruire e ricostruire i principali edifici pubblici: il circuito murario e gli ambienti di sostruzione, la grande cisterna di Piazza Pozzo Dorico e il ponte della Catena. Abili carpentieri cucirono infine una veste di marmo alla città di cui il Tempio dei Dioscuri ne è lembo adombrato, mentre il Tempio d’Ercole un ricamo che splende alla luce del sole.

    All’inizio del I sec., dopo la Guerra Sociale (90-88 a.C.) combattuta da Roma contro i socii (gli alleati italici), Cora divenne municipium retto da quattuòrviri e nuovamente fu costretta prendere parte alle vicende di Roma, parteggiando per Mario nella lotta contro Silla. Le fonti sull’alba della città si fanno sempre più fioche e si perdono lentamente nell’oscurità. Ultimo dato significativo in nostro possesso, l’esistenza di un funzionario che veniva nominato dall’Imperatore di Roma ed era addetto al controllo dell’amministrazione finanziaria della città.

     

     

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